L’insegnante come anticorpo cognitivo

Ci sono parole che agiscono come “virus cognitivi”.

Contaminano e disorientano. Entrano nella nostra vita, si impongono nel luogo di lavoro, animano le nostre discussioni.

Ma ci anche parole che agiscono come anticorpi cognitivi, immunizzano di fronte alla banalità, alla ridondanza e alla retorica, preservano la libertà. Le parole dell’insegnante sono inattuali.

All’educatore si chiede di conoscere le prime e di sperimentare l’efficacia delle seconde, magari lontano da sguardi indiscreti, nella solitudine o in compagnia di una comunità, comunque quasi sempre lontano dall’occhio vigile della pedagogia ufficiale.

Non è una novità.

Ogni epoca storica è stata caratterizzata infatti da un insieme di parole, idee, valori, dubbi che spingono gli uomini e le donne ad oltrepassare situazioni-limite che si presentano come sfide del proprio tempo.

L’insieme di queste parole e idee, speranze e paure si dice che costituiscano l’universo tematico dell’epoca in cui si vive.

Situazioni limite che esigono, secondo il pedagogista brasiliano P. Freire, atti-limite, vale a dire azioni che non accettano l’ineluttabilità  di ciò che accade ma si aprono coraggiosamente e criticamente verso il superamento del presente, incontro ad un essere-di-più, un essere-più-autentico.