L’insegnante come anticorpo cognitivo
Ci sono parole che agiscono come “virus cognitivi”.
Contaminano e disorientano. Entrano nella nostra vita, si impongono nel luogo di lavoro, animano le nostre discussioni.
Ma ci anche parole che agiscono come anticorpi cognitivi, immunizzano di fronte alla banalità, alla ridondanza e alla retorica, preservano la libertà. Le parole dell’insegnante sono inattuali.
All’educatore si chiede di conoscere le prime e di sperimentare l’efficacia delle seconde, magari lontano da sguardi indiscreti, nella solitudine o in compagnia di una comunità, comunque quasi sempre lontano dall’occhio vigile della pedagogia ufficiale.
Non è una novità.
Ogni epoca storica è stata caratterizzata infatti da un insieme di parole, idee, valori, dubbi che spingono gli uomini e le donne ad oltrepassare situazioni-limite che si presentano come sfide del proprio tempo.
L’insieme di queste parole e idee, speranze e paure si dice che costituiscano l’universo tematico dell’epoca in cui si vive.
Situazioni limite che esigono, secondo il pedagogista brasiliano P. Freire, atti-limite, vale a dire azioni che non accettano l’ineluttabilità di ciò che accade ma si aprono coraggiosamente e criticamente verso il superamento del presente, incontro ad un essere-di-più, un essere-più-autentico.
Il legame prima di tutto
Nel processo educativo il maestro si fa “parola” capace di costruire un legame. Un legame che ha bisogno di una rinnovata e inedita capacità di connessione da parte degli adulti nei confronti degli studenti, ma anche degli studenti tra di loro.
Parole che guardano e parole che contengono, parole che regalano e parole che ringraziano, che costringono a trascendere l’esperienza stessa per il loro carattere irrevocabile di novità. Più che trascenderla, molti ragazzi l’abbandonano.
Serve la personalizzazione dell’apprendimento perché si fonda sull’idea che l’apprendimento mediato ha bisogno di un maestro che ti parla con calore, affetto, e ti aiuta ad entrare in contatto con i tuoi pensieri.
Pathos e Logos a scuola
Pathos e Logos, separati fin dalle origini della nostra cultura occidentale, nel gioco di pensiero si integrano e finiscono per fondersi. Mente e Affetti, Volontà e Passione, imparano infatti nel gioco ad accordare le loro esigenze. La Scuola invece di certificare questo divorzio, deve operare per una pacificazione. Pur considerando il rapporto tra mente e affetti come problematico, la scuola deve riportare al centro del dibattito educativo la formazione degli affetti e l’educazione sentimentale degli alunni.